Cenni sulla spiritualità della Beata Candida dell’Eucarestia

Il lettore che si inoltra negli scritti della Beata potrebbe correre il rischio di non scoprire le profondità della sua esperienza mistica non comune, se prima non si è assicurato di leggerla alla luce della Rivelazione divina, l’unica capace di illuminare anche le vette più alte della santità e della mistica. L’Incarnazione del Figlio di Dio ci ha conferito la dignità e il titolo di “figli”, ci ha abilitati a coltivare relazioni d’amore con Dio avvertito sperimentalmente presente. Sempre grazie all’ingresso di Cristo nella storia umana, tali relazioni tra noi e Dio, possono essere approfondite, intensificate, perfezionate a tal punto da raggiungere una intimità sconvolgente, capace di trasformarci, di divinizzarci, come insegnano i santi dottori del Carmelo. Questa vocazione la beata Candida la intuì e l’adempì con trasporto ed entusiasmo fino alle ultime conseguenze, sviluppando le sue relazioni con Dio con intimità non scandagliabili, proprie dei grandi mistici di tutti i tempi.

Il pensiero di Dio, sin da giovinetta, la seguiva giorno e notte; più volte sperimentò la Sua presenza viva ed operante e restò completamente invasa e bruciata dal Suo amore dirompente. Addirittura, anche a teatro o nelle sale da ballo, ella veglierà a che non si interrompesse il suo colloquio con l’Ospite divino dentro la sua anima; come avrebbe potuto, lei così “pazza” di Dio, dimenticarlo ballando o passeggiando per le vie di Palermo insieme ai suoi familiari? Possiamo affermare che era costantemente immersa e perduta in Dio nel profondo del suo essere. Ciò non è che solo il preludio di tutto lo sviluppo del rapporto d’amore con il suo Amato, che toccherà vette sublimi nella piena maturità spirituale. Ella andava alla ricerca del suo Dio nella “cella interiore”, dove sapeva di poterlo incontrare immancabilmente e nel Tabernacolo, dove lo sapeva realmente, fisicamente presente. Sapeva di essere desiderata, di essere aspettata, quindi, volava agli appuntamenti con l’Amico divino, mai sazia di ritrovarlo, mai sazia di stare alla sua presenza per “bere” a larghi sorsi purezza e carità, mai sazia di contemplarlo, anche nella tenebra più fitta del mistero, mai sazia di tuffarsi nel mistero trinitario, per attingervi fuoco per poter infiammare le sue monache e la Chiesa tutta tout – court.

In lei cresceva, a livello esponenziale, il desiderio di consumarsi per l’Amato, di dargli amore per amore e questo fino alla morte, che sarà un vero tramonto di fuoco, in cui l’olocausto si consumerà completamente.

Ascoltiamo le sue struggenti parole in proposito: “Vorrei che l’amore dilagasse nell’anima mia, nel mio cuore, in ogni fibra del mio essere, nelle mie viscere, e mi bruciasse, mi incendiasse, mi incenerisse! Io muoio d’amore! Mio Dio, tu sei si mare d’amore…Vorrei, così piccolo essere, mutarmi tutta in amore. Mio dio come appagarti?”.

L’intimità con Gesù Eucarestia procura alla Beata luci, talvolta anche, straordinarie sul mistero della nostra fede; certe esperienze mistiche le diedero una percezione dell’Incomprensibile, di intravvedere l’Invisibile, di penetrare nelle profondità del mistero e di svelarne aspetti, che per noi restano nascosti.

Per trent’anni la Beata visse nel Carmelo di Ragusa, felice di abitare sotto lo stesso tetto di Gesù, di poterlo quotidianamente ricevere, rivestita dell’abito della Vergine; così, ella poteva realizzare, in modo nascosto quanto sublime, il dono dell’immolazione totale a Dio per amore Suo e delle anime

Entusiasta del Carmelo, possiamo dire che, la Beata ne visse in profondità le esigenze più austere, le istanze più ardite: l’orazione fino alle più alte vette, l’immolazione più totale, uno spirito mariano singolare, il valore apostolico più impegnativo. Nell’humus fecondo della spiritualità carmelitana sperimentò le forme più alte di orazione, venendo arricchita dal Signore dei doni soprannaturali del raccoglimento infuso, di quello di quiete e di quello di unione. Tramite questi gradi di contemplazione, ai quali corrisponde con una severissima vita ascetica, sostenuta, però, da una grande e soave letizia, la nostra claustrale giunge fino all’unione trasformante, nella quale Dio e l’anima in grazia diventano una sola cosa, pur godendo del rapporto reciproco, come un uomo e una donna all’interno del matrimonio cristiano, benedetto da Dio e dalla Chiesa, a detta dei Padri Cappadoci, che hanno paragonato l’amore matrimoniale e familiare, addirittura, ai rapporti intratrinitari, alla “pericoresi” all’interno della Santissima Trinità. In tal senso, tutta l’esperienza mistica della nostra carmelitana, si inscrive nell’alveo della mistica sponsale spagnola, della quale santa Teresa d’Ávila e san Giovanni della Croce sono i maggiori esponenti, mistica, che per l’appunto, vede i rapporti di Dio con l’anima, giunti alle più alte vette dell’unione, come un matrimonio d’amore, all’interno del quale i due, pur restando essenzialmente se stessi, ciò non di meno hanno uno scambio intensissimo d’amore, fino a percepirsi uniti e inseparabili. Sentiamo le parole della stessa Beata in proposito: “Niente ho ancora detto dell’unione bella e forte che tante volte Gesù dolcissimo mi ha dato con Lui… Poi, da questa dolce contemplazione, caddi per appoggiare forte il mio capo sul petto dolcissimo di Gesù (ma non lo feci io!), e stare forte unita a Lui! Ma forte! Io non capivo cos’era? Così da principio…Quando io provo in quel modo calma e soavità in tutta me, e sento sensibilmente l’anima quasi diffondersi ai sensi…, allora non è Gesù in me, e il Suo cuore non mi dà tanta grazia e consolazione?”(Dalla Confessione Generale pp. 81, 89)

di Giancarlo Licitra

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